martedì 24 maggio 2022

Luca Oriani (Giornale della Vela)



 GIORNALE DELLA VELA n.°04 (maggio 2022)

“Perché amiamo andar per mare a vela” di Luca Oriani

È lunedì di Pasqua. Sono solo in redazione, devo finire il 360° al più presto perché il giornale deve andare in stampa. Guardo distrattamente le mail, mi incuriosisce quello che ci scrive una lettrice. Butto via quello che ho già scritto e decido che, per una volta il 360° non sarà scritto da me, ma da Emanuela, velista neofita. Leggetelo con attenzione e con il cuore aperto. Questo breve racconto è l’essenza del perché andare per mare a vela è così affascinante, visto dal punto di vista di una donna. Alla faccia di chi pensa che la vela sia solo cosa da uomini.

Da infermiera a mozzo (Giornale della vela maggio 2022)



Da infermiera a mozzo - Emanuela Taddei

Ore 22,30 Canale di Otranto – Luglio 2021

Il maestrale soffia incessante, l’albero è completamente piegato. Il peso delle vele trascina con sé la barca, ormai una fragile conchiglia in balia delle onde.

La luna illumina le vele di una luce glaciale. Un suo tenue riflesso riverbera le onde che sbattono furiose contro le murate della barca.

Io sono aggrappata alla scotta (corda) del fiocco (vela piccola anteriore) con una mano, semplicemente occupata a non cadere in acqua.

Il giubbetto di salvataggio non contribuisce di certo a darmi maggior sicurezza: non so nuotare e quelle onde sembrano pronte ad avvilupparmi per nascondermi a chiunque possa giungere a salvarmi.

Il mare è nero: se non fosse per i riflessi lunari, neppure scorgerei l’altezza delle onde, e forse sarebbe meglio…

La barca si scuote a ogni colpo e la prua si inabissa con violenza per poi risalire gonfia di schiuma e di mare.

*

In questo momento mi chiedo come sono giunta a questo punto: scegliere questo genere di vita, affidarsi a quel fragile guscio in balia di forze primordiali, è davvero la soluzione per il mio malessere interiore?

Mi tremano le gambe, il cuore è a mille, mi guardo intorno e vedo solo mare, onde, vento e vele impazzite. Eppure nonostante la furia del mare e del vento che mi scuote come se fossi nulla, nonostante la Natura che mi spruzza sul viso la sua forza e la sua ineluttabilità, sono ancora convinta di essere nel posto giusto. Angoscia del momento a parte.

Vedo mio marito che si arrampica per ridurre la superficie della randa, la vela grande centrale, e sa esattamente cosa fare e come. Spiarne i gesti, percepirne la calma interiore mi distoglie dai miei terrori: sì, ho bisogno della sua sicurezza, perché ormai io non sono più sicura di niente.

Troppe volte sono stata illusa o tradita: dagli altri, da me stessa, dal mondo. A ben pensarci, la mia vita precedente è stata un continuo affidarmi alle mani sbagliate, per scoprire sul mio corpo ogni giorno un nuovo graffio, una nuova ferita.

*

La notte e le stelle hanno colmato l’orizzonte, e in lontananza finalmente scorgiamo, lontane, le luci del porto: per raggiungerlo sarà necessaria una brusca virata. Ogni volta che si esegue questa manovra la barca rimane per qualche istante in balia del vento, perciò la si deve effettuare velocemente e senza errori.

Io devo allentare il fiocco per recuperarlo dalla parte opposta, ma non sono sufficientemente celere, e a causa della mia inesperienza combino un mezzo disastro. La barca travalica il nostro volere e ci spinge violentemente fuori rotta, piegandosi al limite del ribaltamento.  Il timone fuoriesce dall’acqua e tutto diventa ingovernabile.

Quei pochi attimi sembrano dilatare il tempo e la barca, piegata di lato e per nulla intenzionata a rimettersi dritta, pare congelata nell'eternità.

Poi, non so come, Sergio riesce a riportare equilibrio nel disequilibrio e a raddrizzare l’imbarcazione. Ho la sensazione di ridestarmi da un incubo e chiudendo gli occhi un breve istante ringrazio il Mare per averci risparmiati.

Quando li riapro, le luci di Otranto brillano tremule in lontananza e come un miraggio di pace e di amore ci attirano palpitanti.

*

Spesso nel corso della mia vita, lui è riuscito a risollevarmi da situazioni burrascose e disperate: poche parole e pochi gesti misurati riescono a togliermi d'impaccio e a dare il giusto valore alle cose.

La decisione di lasciare il mio lavoro aveva richiesto mille riflessioni: era parte di me ed essere infermiera era diventato più un modo di vivere, che una professione. Purtroppo i problemi di salute e i ritmi di lavoro erano ormai diventati inconciliabili con il mio benessere psicofisico e proseguire avrebbe significato un crollo verticale. Come me, altre colleghe avevano preso il volo, ormai prive di forze, incomprese da tutti se non addirittura vituperate e minacciate.

Ma nessuna di noi compì quella scelta a cuor leggero.

Mio marito visse con me il 2020, mi supportò in ogni modo possibile e impossibile: penso che non sarei riuscita ad arrivare fino in fondo senza di lui.

E così su quella barca galleggiante, sferzata dal vento e in balia di forze quasi incontrollabili, rammento quei momenti tanto simili: anche allora cercavo di aggrapparmi a tutto pur di non soccombere e lui mi rassicurava dicendo:

«Stai tranquilla, ce la faremo.»

Quella notte, in prossimità di Otranto avviene un secondo "miracolo": un gruppo di delfini emerge dal nero del mare e prende a danzare davanti alla prua. Li vedo in controluce: sullo sfondo le luci del porto e in primo piano gli spruzzi dei loro corpi sinuosi e scuri.

Un messaggio di speranza che tanto agognavo.

Dura un attimo ma ancora oggi li ricordo come se quell’attimo si sia impossessato della mia mente e ancora produca i suoi benefici effetti.

*

L’entrata in porto non è semplice: non ci sono posti barca e dobbiamo gettare l’ancora in rada, dove per tre lunghi giorni e tre lunghe notti siamo costretti dal maltempo a restare ancorati.

L’ancora raschia il fondo, trascinata dalle onde che raggiungono un metro e mezzo di altezza. Il vento si insinua dappertutto e soffia a 30 nodi (1 nodo equivale a circa 1,852 km/h).

La realtà è che questa rada non è protetta né dalle onde, né dal vento.

Perciò per tre giorni dormiamo a malapena, mangiamo di rado cibi freddi e scatolame. Spesso ci procuriamo dei lividi perché la barca ci sbatte come burattini ogni volta che è necessario muoversi, ad esempio per andare in bagno. Ci aggrappiamo a ogni mobile o passamano, ma talvolta lo spostamento è così repentino e forte che riesce a trascinarci contro qualcosa. Gli oggetti negli stipetti: scatolame, piatti e bicchieri, sbattono l’uno contro l’altro aumentando il senso di incertezza della situazione. La notte è un concerto cacofonico.

Finalmente al terzo giorno, meteo alla mano, decidiamo di salpare. Siamo felici: noi e le dinamiche del nostro rapporto abbiamo superato questa prova, così snervante sia a livello mentale che fisico. Ne siamo usciti più uniti.

Così col mare e il vento favorevoli, puntiamo verso la nostra meta finale: le isole greche.

Ma ancora paragono quella situazione alle vicende accadute nel 2020, quando niente potevamo contro Madre Natura se non resistere e sperare.

*

In mare aperto l’orizzonte si allarga e si vedono cose che dal porto non si possono vedere.

Raggiungere Othoni è come raggiungere in un colpo solo la Grecia, l'Olimpo e i miti omerici.

Ulisse fu trattenuto per sette anni dalla Dea Calipso proprio in quest'isola, oasi popolata da pesciolini argentati in acque cristalline e rocce a picco sul mare.

E mentre la nostra barca solca il mare io sogno incantesimi, Divinità e dolci amplessi.

Il maestrale è diminuito, apriamo il "Code Zero", una vela ampia e leggera che è in grado di catturare ogni sbuffo di vento.

È talmente bella, con quel suo colore grigio argenteo così simile alla pelle dei delfini, che rimango come incantata a osservarla aprirsi maestosa, quasi accogliendo in sé la vita, il mondo, il futuro.

Ora ne sono certa: questo è il mio posto, anche se tutti hanno remato contro la decisione di mollare tutto per affidarmi al mare.

E proprio lì, accanto al mio uomo che tiene ben saldo il timone, la vedo per la prima volta.

Avvolta in una leggera nebbia emerge Othoni (o forse si tratta della magica Ogigia, sacro suolo della Dea?).

Non resisto all’entusiasmo e urlando di gioia con il telefonino inizio una diretta, dedicando quell’incanto a tutte le mie ex colleghe e colleghi ospedalieri. Una dedica rotta dall’emozione e dal pianto liberatorio che spesso sopravviene dopo grandi fatiche.

“Sono io, viva, qui ed ora. Sono esattamente dove voglio e devo essere.”

*

Othoni ti lascia senza fiato.

Calare l’ancora nella baia di Ammos è quasi violare un sito incontaminato: acque cristalline, sette metri di purezza in cui contemplarsi, uno specchio limpido e fermo dove banchi di pesciolini guizzano sereni. Gli occhi ti si riempiono di bellezza.

Caliamo il gommone e solcando quella superficie trasparente ci dirigiamo verso la spiaggia.

L’aria è fresca, la respiriamo a pieni polmoni assaporandone ogni sfumatura. Ormeggiamo su una piccola banchina.

Appena posiamo i piedi, questi si riempiono di sabbia: un genuino benvenuto terrestre.

Dopo un centinaio di metri raggiungiamo il paesino: poche costruzioni, qualche bar, alcuni ristoranti e un supermercato. Scegliamo un ristorante che si affaccia sulla baia.

Dopo una settimana di stenti siamo talmente affamati, che mangeremmo pure la tovaglia.

 Mentre attendiamo l'aperitivo arriva una ragazza greca. È vestita in modo semplice: una canotta usurata e un paio di jeans sgualciti, ma l'abbigliamento contrasta con la sua figura, che pare cesellata nel marmo e scolpita come solo Fidia o Prassitele sapevano fare. Nella mia immaginazione penso di cenare sotto lo sguardo incantevole e benigno di una Dea.

E mentre le mie dita s'intrecciano a quelle di Sergio in un brindisi appassionato, ogni tanto il nostro sguardo si posa su "SEA AMOR", la barca dei nostri sogni, cullata dall’amore di Othoni.

(Pagina Facebook: SEA AMOR LA NOSTRA GRANDE AVVENTURA È INIZIATA)

 Copyright @ Emanuela Taddei Tutti i diritti riservati

Libri 📚







 Proseguiamo con il filone medico... 

L’elaborazione del vissuto passa anche attraverso la lettura.


domenica 15 maggio 2022

Signore delle cime


 Signore Delle Cime

Dio del cielo

Signora delle cime

Un nostro amico hai chiesto alla montagna

Ma ti preghiamo

Ma ti preghiamo

Su nel paradiso

Su nel paradiso

Lascialo andare

Per le tue montagne

Santa Maria

Signora della neve

Coprì col bianco soffice mantello

Il nostro amico, nostro fratello

Su nel paradiso

Su nel paradiso

Lascialo andare

Per le tue montagne


Fonte: Musixmatch

Compositori: Giuseppe De Marzi

Testo di Signore Delle Cime © Curci Edizioni S.r.l.

(Foto da web) 



mercoledì 11 maggio 2022

12 maggio 2022 Giornata dell'infermiere (dedicata a Liliana Giotti)

 

12 maggio 2022 LA GIORNATA DELL'INFERMIERE
Dedico questo giorno così importante a Liliana Giotti, la mamma di Sergio ❤️
Allora la nostra professione era rispettata, allora l'Ordine Professionale ne tutelava il decoro.
Oggi stanno distruggendo la nostra identità a favore di altre figure, che non hanno il nostro stesso percorso formativo, a scapito dell'assistenza.
Oggi non c'è niente da festeggiare.