mercoledì 17 gennaio 2024

Il plagio IA


 Il plagio “artificiale intelligente”

di Noam Chomsky *

La mente umana non è, come ChatGPT e i suoi simili, una goffa macchina statistica per il riconoscimento di strutture, che ingurgita centinaia di terabyte di dati ed estrapola la risposta più plausibile per una conversazione o la più probabile per una domanda scientifica.


Al contrario… la mente umana è un sistema sorprendentemente efficiente ed elegante che opera con una quantità limitata di informazioni. Essa non cerca di inferire correlazioni brute da dati ma cerca di creare spiegazioni. […]


Smettiamo di presentarla come “Intelligenza Artificiale” e chiamiamolo per quello che è “software per il plagio”. Non crea alcunché, copia lavori esistenti da artisti esistenti e cambia a sufficienza per sfuggire alle leggi del copyright.


È il più grande furto di proprietà mai avvenuto dopo le terre dei nativi americani da parte dei coloni europei.

 (dal New York Times – 8 marzo 2023)

Foto da Web



La Vanpira procede…

 LA VAMPIRA procede. Lentamente ma procede. 

Sono molto entusiasta. La delineazione della protagonista sta evolvendo verso l’orrido. Ora si fa sul serio. 

Spero di riuscire a gestire la trasformazione interiore. 

Qui non bisogna sbagliare. 

Ecco! Volevo farvi partecipi di questo momento cruciale. 

Buona giornata ❤️

(Foto da Web)



Quando muore un lupo

 Ogni volta che muore un lupo, muore un pezzo di Natura che mai più tornerà.

Un elemento che rende l’ambiente più sano e più vero.

Emanuela Taddei

domenica 7 gennaio 2024

Cambiare l’acqua ai fiori - Valérie Perrin


 Cambiare l’acqua ai fiori - Valérie Perrin

Da leggere.

Offre molti spunti di riflessione: sulla vita, sulla morte, sulle scelte giuste o sbagliate della propria vita. 

A tratti lento. 

È comunque un bel viaggio.


venerdì 5 gennaio 2024

giovedì 4 gennaio 2024

LIBERTÀ

 La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare.

Piero Calamandrei

Davide Persico

La serie naturalistica completa di Edizioni Delmiglio 🐺🐦🦣🦞🌤



 Spero, un giorno, di essere presente ad una sua presentazione.

Penso che questa collana dedicata alla natura, sia preziosa per tutti noi che abitiamo in pianura padana.

E non solo. 

Grazie Davide Persico per i suoi preziosi studi.


Giovanni Allevi



 Buon 2024!

Viva la libertà! 

“La libertà di espressione è più importante del giudizio” Giovanni Allevi


Serve Jobs


 "Ho imparato che la calma è molto più destabilizzante della rabbia…

che un sorriso disarma molto più di un volto corrugato,

 ho imparato che il silenzio di fronte ad un’offesa

 è un grido che fa tremare la terra.

 Ho imparato che come un amore rifiutato non si perde

 ma torna intatto a colui che voleva donarlo,

 così accade per la rabbia, le offese…

siamo noi a decidere se farci toccare o meno da un sentimento,

 di qualsiasi sentimento si tratti.

 Non importa se stai procedendo molto lentamente…

ciò che importa è che tu non ti sia fermato e anche se gli altri ti giudicano un folle, non importa, perché il nuovo anno sarà l'anno dei folli, dei solitari, dei ribelli, di quelli che non si adattano, di quelli che non ci stanno. 

Di quelli che sembrano sempre fuori luogo, di quelli che vedono le cose in modo differente e non si adattano alle regole, perché non hanno rispetto per lo status quo. 

 Potete essere d'accordo con loro o non essere d'accordo. 

 Li potete glorificare o diffamare. 

 L'unica cosa che non potete fare è ignorarli. 

 Perché cambiano le cose. 

 Spingono la razza umana in avanti. 

 E mentre qualcuno li considera dei folli, 

 noi li consideriamo dei geni. 

 Perché le persone che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo sono coloro che lo cambiano davvero".

 - Steve Jobs.

L’abete - Andersen


 La favola dell’abete – Andersen

In mezzo al bosco si trovava un grazioso alberello di abete che aveva per sé parecchio spazio, prendeva il sole, aveva aria a sufficienza, e tutt’intorno crescevano molti suoi compagni più grandi, sia abeti che pini, ma quel piccolo abete aveva una gran fretta di crescere. Non pensava affatto al caldo sole né all’aria fresca, né si preoccupava dei figli dei contadini che passavano di lì chiacchierando quando andavano a raccogliere fragole o lamponi. Spesso arrivavano con il cestino pieno zeppo di fragole oppure le tenevano intrecciate con fili di paglia, si sedevano vicino all’alberello e esclamavano: «Oh, com’è carino così piccolo!» ma all’albero dispiaceva molto sentirlo.

L’anno dopo il tronco gli si era allungato, e l’anno successivo era diventato ancora più lungo; guardandone la costituzione si può sempre capire quanti anni ha un abete.

«Oh! se solo fossi grosso come gli altri alberi!» sospirava l’alberello «potrei allargare per bene i miei rami e con la cima ammirare il vasto mondo! Gli uccelli costruirebbero i loro nidi tra i miei rami e quando c’è vento potrei dondolarmi solennemente, come fanno tutti gli altri.»

E non si godeva affatto né il sole, né gli uccelli o le nuvole rosse che mattina e sera gli passavano sopra.

Quand’era inverno e la neve brillava bianchissima tutt’intorno, arrivava spesso una lepre e con un salto si posava proprio sopra l’alberello. “Che noia!” Ma dopo due inverni l’albero era così grande che la lepre dovette limitarsi a girargli intorno. “Oh! crescere, crescere, diventare grosso e vecchio, è l’unica cosa bella di questo mondo” pensava l’albero.

In autunno giunsero i taglialegna per abbattere alcuni degli alberi più grandi; questo accadeva ogni anno e il giovane abete, che ormai era ben cresciuto, rabbrividiva al pensiero di quei grandi e meravigliosi alberi che cadevano a terra con un fragore incredibile. I loro rami venivano strappati, così restavano lì nudi, esili e magri che quasi non si riconoscevano più, poi venivano messi sui carri e i cavalli li portavano fuori dal bosco.

Dove erano diretti? Che cosa ne sarebbe stato di loro?

In primavera, quando giunsero la rondine e la cicogna, l’albero chiese: «Sapete forse dove sono stati portati? Non li avete incontrati?».

La rondine non sapeva nulla, ma la cicogna sembrò riflettere un po’, poi fece cenno col capo e disse: «Sì, credo di sì! Ho incontrato molte nuove navi, mentre tornavo dall’Egitto; avevano alberi maestri magnifici: immagino fossero loro, dato che odoravano di abete. Posso assicurarvi che erano magnifici, davvero magnifici!».

«Oh, se anch’io fossi abbastanza grande da andare per il mare! Ma com’è poi in realtà questo mare, e a cosa assomiglia?»

«È troppo lungo da spiegare!» rispose la cicogna andandosene.

«Rallegrati per la giovinezza!» dissero i raggi di sole. «Rallegrati per la tua crescita, per la giovane vita che è in te!»

Il vento baciò l’albero e la rugiada riversò su di lui le sue lacrime, ma l’albero non riuscì a capire.

Quando si avvicinarono le feste natalizie, vennero abbattuti giovani alberelli, che non erano ancora grandi e vecchi come quell’abete, che non riusciva a avere pace e voleva sempre partire. Questi alberelli, che erano stati scelti tra i più belli, conservarono i loro rami e vennero messi sui carri che i cavalli trascinarono fuori dal bosco.

«Dove vanno?» chiese l’abete «non sono più grandi di me, anzi ce n’era uno che era molto più piccolo. Perché conservano i rami? Dove sono diretti?»

«Noi lo sappiamo! Noi lo sappiamo!» cinguettarono i passerotti «abbiamo curiosato attraverso i vetri delle finestre, in città. Sappiamo dove vengono portati! Ricevono una ricchezza e uno sfarzo inimmaginabili! Abbiamo visto attraverso le finestre che vengono piantati in mezzo a una stanza riscaldata e decorati con le cose più belle, mele dorate, tortine di miele, giocattoli e molte centinaia di candeline!»

«E poi?» domandò l’abete agitando i rami «e poi? Che cosa succede dopo?»

«Non abbiamo visto altro. Ma era meraviglioso!»

«Magari sarò anch’io destinato a seguire quel destino splendente!» si rallegrò l’abete. «E è molto meglio che andare per mare. Che nostalgia! Se solo fosse Natale! Ormai sono alto e sviluppato come gli alberi che erano stati portati via l’anno scorso. Potessi essere già sul carro! E nella stanza riscaldata con quello sfarzo e quella ricchezza! E poi? Poi succederanno cose ancora più belle, più meravigliose; altrimenti perché mi decorerebbero? Deve succedere qualcosa di più importante, di più straordinario, ma che cosa? Come soffro! Che nostalgia! Non so neppure io che cosa mi succede!»

«Rallegrati con me!» dissero l’aria e la luce del sole «goditi la tua gioventù qui all’aperto!»

Ma lui non gioiva affatto. Cresceva continuamente e restava verde sia d’estate che d’inverno, di un verde scuro, e la gente che lo vedeva esclamava: «Che bell’albero!». Verso Natale fu il primo albero a essere abbattuto. La scure penetrò in profondità nel midollo; l’albero cadde a terra con un sospiro, sentì un dolore, un languore che non gli fece pensare a nessuna felicità: era triste perché doveva abbandonare la sua casa, la zolla da cui era spuntato.

Sapeva bene che non avrebbe più rivisto i vecchi e cari compagni, i piccoli cespugli e i fiorellini che stavano intorno a lui, e forse neppure gli uccelli. La partenza non fu certo una cosa piacevole.

L’albero si riprese solo mentre veniva scaricato con gli altri alberi, quando udì esclamare: «Questo è magnifico! Lo dobbiamo usare senz’altro!».

Giunsero due camerieri in ghingheri che portarono l’abete in una grande sala molto bella. Tutt’intorno, sulle pareti, pendevano ritratti e vicino a una grande stufa di maiolica si trovavano vasi cinesi con leoni sul coperchio. C’erano sedie a dondolo divani ricoperti di seta, grossi tavoli sommersi da libri illustrati e da giocattoli che valevano cento volte cento talleri, come dicevano i bambini. L’abete venne messo in piedi in un secchio di sabbia, ma nessuno vide che era un secchio, perché era stato ricoperto di stoffa verde e era stato messo su un grosso tappeto a vari colori. Come tremava l’albero! Che cosa sarebbe accaduto? I camerieri e le signorine lo decorarono. Su un ramo pendevano piccole reti ricavate dalla carta colorata; ognuna era stata riempita di caramelle. Pendevano anche mele e noci dorate, che sembravano quasi cresciute dai rami. Poi vennero fissate ai rami più di cento candeline bianche rosse e blu. Bambole che sembravano vere, e che l’abete non aveva mai visto prima d’allora, dondolavano tra il verde. In cima venne posta una grande stella fatta con la stagnola dorata; era proprio meravigliosa.

«Questa sera!» esclamarono tutti «questa sera deve splendere!»

“Fosse già sera!” pensò l’albero “se almeno le candele fossero accese presto! Che cosa accadrà? Chissà se verranno gli alberi del bosco a vedermi? E chissà se i passerotti voleranno fino alla finestra? Forse metterò radici qui e resterò decorato estate e inverno!”

Sì! ne sapeva davvero poco! ma gli era venuto mal di corteccia per la nostalgia, e il mal di corteccia è fastidioso per un albero come lo è il mal testa per noi.

Finalmente vennero accese le candele.  Che splendore, che magnificenza! L’albero tremava con tutti i suoi rami finché una candelina appiccò fuoco al verde. Che dolore! “Dio ci protegga!” gridarono le signorine e subito spensero la fiamma. Ora l’albero non osava neppure più tremare. Che tortura! Aveva una gran paura di perdere qualche parte del suo addobbo, ed era molto turbato per tutto quello sfarzo. Si aprirono i due battenti della porta e una quantità di bambini si precipitò nella stanza, sembrava quasi che volessero rovesciare l’albero. Gli adulti li seguirono con prudenza; i piccoli si azzittirono, ma solo per un attimo, poi gridarono nuovamente di gioia facendo tremare tutta la casa. Ballarono intorno all’albero e tolsero, uno dopo l’altro, tutti i regali. ‘ Che cosa fanno? ‘ pensò l’albero. ‘ Che succede? ‘ Intanto le candele bruciarono fino ai rami, e man mano che si consumarono vennero spente. Poi i bambini ebbero il permesso di disfare l’albero. Gli si precipitarono contro con tale veemenza che l’albero sentì scricchiolare tutti i rami. Se non fosse stato fissato al soffitto con la stella dorata si sarebbe certamente rovesciato. I bambini gli saltellavano intorno coi loro magnifici giocattoli. Nessuno guardò più l’albero, eccetto la vecchia bambinaia che curiosò tra le foglie per vedere se era stato dimenticato un fico secco o una mela.

“Una storia! Una storia!” gridarono i bambini trascinando un signore piccoletto ma robusto verso l’albero. Lui vi si sedette proprio sotto e disse: “Adesso siamo nel bosco, e anche l’albero farebbe bene ad ascoltare! Comunque racconterò solo una storia. Volete quella di Ivede-Avede o quella di Klumpe-Dumpe che cadde giù dalle scale, salì sul trono e sposò la principessa?” “Ivede-Avede!” gridarono alcuni; “Klumpe-Dumpe” gridarono altri. Fu un grido solo e solo l’albero se ne stette zitto a pensare: ‘ Non posso partecipare anch’io? Non posso far più nulla? ‘. In realtà aveva già partecipato e fatto la parte che gli spettava. L’uomo raccontò la storia di Klumpe-Dumpe che cadde giù dalle scale, salì sul trono e sposò la principessa; i bambini batterono le mani e gridarono: “Racconta, racconta!”. Volevano sentire anche quella di Ivede-Avede, ma fu raccontata solo la storia di Klumpe-Dumpe. L’abete se ne stava zitto e pensieroso; gli uccelli del bosco non avevano mai raccontato storie del genere. Klumpe-Dumpe che cade dalle scale e sposa la principessa! Certo: è così che va il mondo! Concluse l’albero, credendo che tutto fosse vero, dato che era stato raccontato da un uomo così per bene. ‘Certo! Chi può mai saperlo? Forse cadrò anch’io dalle scale e sposerò una principessa!’. E si rallegrò al pensiero che il giorno dopo sarebbe stato decorato di nuovo con candele, giocattoli, e frutta dorata. ‘Domani non tremerò!’ pensò. ‘Voglio proprio godermi tutto quello splendore. Domani sentirò ancora la storia di Klumpe-Dumpe e forse anche quella di Ivede-Avede.’ L’albero restò fermo a pensare per tutta la notte.

Il mattino dopo entrarono il cameriere e la domestica. “Adesso ricomincia la festa!” pensò l’albero; invece lo trascinarono fuori dalla stanza, su per le scale fino in soffitta e lo misero in un angolo buio dove non arrivava neanche un filo di luce. ‘Che significa!?’ pensò l’albero. ‘Che cosa faccio qui? Che cosa posso ascoltare da qua?’ Si appoggiò al muro e continuò a pensare. Di tempo ne aveva, passarono giorni e notti e nessuno venne lassù, quando finalmente comparve qualcuno, fu solo per posare delle casse in un angolo. L’albero era ormai nascosto, si poteva pensare che fosse stato dimenticato. ‘Adesso è inverno là fuori!’ pensò l’albero. ‘La terra è dura e coperta di neve. Gli uomini non potrebbero ripiantarmi, per questo devo rimanere al riparo fino a primavera. Che ottima idea! Come sono bravi gli uomini! Se solo qui non fosse così buio ed io non fossi così solo! Non c’è neppure una piccola lepre! Invece era proprio bello nel bosco quando c’era la neve e la lepre mi passava vicino. Sì, anche quando mi saltava sopra ma allora non mi piaceva. Qui invece c’è una solitudine terribile!’

“Pi! Pi!” esclamò un topolino proprio in quel momento e saltò fuori. Subito dopo ne uscì un altro. Fiutarono l’abete e si infilarono tra i rami. “Fa un freddo tremendo!” dissero i topolini. “Se non fosse per questo freddo, si starebbe bene qui! Non è vero, vecchio abete?” “Non sono affatto vecchio!” replicò l’abete. “Ce ne sono molti che sono più vecchi di me!” “Da dove vieni?” gli chiesero i topolini “e che cosa sai?” Erano infatti terribilmente curiosi. “Raccontaci del posto più bello della terra! Ci sei stato? Sei stato nella dispensa dove c’è il formaggio sugli scaffali e i prosciutti pendono dai soffitto, dove si balla sulle candele di sego, dove si arriva magri e si esce grassi?” “Non lo conosco!” rispose l’albero “ma conosco il bosco, dove splende il sole e dove gli uccelli cinguettano!” e così raccontò della sua gioventù, e i topolini non avevano mai sentito nulla di simile, così lo ascoltarono attentamente e poi dissero: “Oh! Tu hai visto molto! come sei stato felice!”. “Io?” esclamò l’abete, pensando a quello che raccontava. “Sì, in fondo sono stati bei tempi!” poi raccontò della sera di Natale, di quando era stato addobbato con dolci e candeline. “Oh!” esclamarono i topolini “come sei stato felice, vecchio abete!” “Non sono per niente vecchio!” rispose l’albero. “Sono venuto via dal bosco quest’inverno! Sono nell’età migliore, ho solo terminato la crescita!” “Come racconti bene!” gli dissero i topolini, e la notte dopo ritornarono con altri quattro topolini che volevano sentire il racconto dell’albero; e quanto più raccontava, tanto più chiaramente si ricordava tutto e pensava: ‘Erano proprio bei tempi! Ma ritorneranno, ritorneranno! Klumpe-Dumpe cadde dalle scale e ebbe la principessa; forse anch’io ne sposerò una’ e intanto pensava ad una piccola e graziosa betulla che cresceva nel bosco e che per l’abete era come una bella principessa. “Chi è Klumpe-Dumpe?” chiesero i topolini, e l’abete raccontò tutta la storia; ricordava ogni parola e i topolini erano pronti a saltare in cima all’albero per il divertimento. La notte successiva vennero molti più topi e la domenica giunsero persino due ratti; ma dissero che la storia non era divertente e questo rattristò i topolini che pure, da allora, la trovarono meno divertente. “Lei conosce solo questa storia?” chiesero i ratti. “Solo questa!” rispose l’albero “la sentii durante la serata più felice della mia vita, ma in quel momento non capii quanto era felice.” “È una storia veramente brutta! Non ne conosce qualcuna sulla carne e sulle candele di sego? O sulla dispensa?” “No!” rispose l’albero. “Ah, allora grazie!” dissero i ratti e si ritirarono. Anche i topolini alla fine scomparvero e allora l’albero sospirò: “Era molto bello quando si sedevano intorno a me, quei vispi topolini, e ascoltavano i miei racconti. Adesso è finito anche questo! Ma devo ricordarmi di divertirmi, quando uscirò di qui!”.

Che successe invece? Ah, sì! Una mattina presto giunse della gente a rovistare in soffitta. La casse vennero spostate e l’albero fu tirato fuori, lo gettarono senza alcuna cura sul pavimento e subito un cameriere lo trascinò verso le scale dove arrivava la luce del sole. ‘Ora ricomincia la vita!’ pensò l’albero, che sentì l’aria fresca e il primo raggio di sole. E così si ritrovò nel cortile. Tutto accadde così in fretta che l’albero non si accorse neppure del suo aspetto; c’era tanto da vedere tutt’intorno. Il cortile confinava con un giardino che era tutto fiorito, le rose pendevano fresche e profumate dalla bassa ringhiera, i tigli erano fioriti e le rondini volavano lì intorno e dicevano: “Kvirre-virre-vit, è arrivato mio marito!” ma non si riferivano all’abete. “Adesso voglio vivere!” gridò lui pieno di gioia e allargò i rami, oh! erano tutti gialli e appassiti; e lui si trovava in un angolo tra ortiche ed erbacce; ma la stella di carta dorata era ancora al suo posto e brillava al sole. Nel cortile stavano giocando alcuni di quegli allegri bambini che a Natale avevano ballato intorno all’albero e ne erano stati tanto felici. Uno dei più piccoli corse a strappare la stella d’oro dall’albero. “Guarda cosa c’è ancora su questo vecchio e brutto albero di Natale!” disse e cominciò a pestare i rami che scricchiolarono sotto i suoi stivaletti. L’albero guardò quegli splendidi fiori e quella freschezza del giardino, poi guardò se stesso e desiderò di essere rimasto in quell’angolo buio della soffitta. Pensò alla sua gioventù passata nel bosco, alla divertente notte di Natale, e ai topolini che erano così felici di aver sentito la storia di Klumpe-Dumpe. “Finito! finito!” esclamò il povero albero. “Se almeno mi fossi rallegrato quando potevo! Finito! Finito!” Il cameriere sopraggiunse e tagliò l’albero in piccoli pezzi e ne fece un fascio. Come bruciò bene sotto il grande paiolo; sospirava profondamente e ogni sospiro sembrava una piccola esplosione; attratti da quegli scoppi, i bambini che stavano giocando accorsero e si misero davanti al fuoco e, guardandolo, gridarono: “Pif-pof!”, ma a ogni crepitio, che era per lui un sospiro profondo, l’albero ripensava a un giorno d’estate nel bosco, a una notte d’inverno quando le stelle brillavano nel cielo, alla notte di Natale e a Klumpe-Dumpe, l’unica storia che aveva sentito e che sapeva raccontare. E intanto si era consumato tutto. I bambini ripresero a giocare nel cortile e il più piccolo si era messo al petto la stella dorata che l’albero aveva portato nella serata più felice della sua vita; ora questa era finita, e anche l’albero era finito, e così anche la storia: finita, finita, come tutte le storie.