domenica 17 giugno 2018

S.Cesario d'Arles

Regola per le vergini di s. Cesario d’Arles
1. Innanzitutto bisogna attenersi alla regola che nessuna esca dal monastero fino alla sua morte.
Secondo me questa regola è lapidaria nel vero senso della parola. 
 
 
 

martedì 12 giugno 2018

CAP.2 CAPITOLIUM




“… a chi fu dato molto, molto sarà richiesto.”
Benedetto da Norcia “La regola”.

Cammino in fretta sull’acciottolato che mi conduce attraverso l’intricato dedalo di stradine in prossimità di Via Musei.
Come sempre, girando l’angolo di una casa, all’apparire maestoso del Tempio Capitolino, mi arresto un istante, ammaliata.
Perché immagino il foro romano, con le grida impazienti dei mercanti, e gli antichi abitanti brixiani che salgono esitanti le scalinate del santuario, per introdursi poi in una delle quattro celle. E sempre quella sensazione: che non sia solo immaginazione…
Pregheranno forse sotto le colossali statue di Giove, Giunone o Minerva, probabilmente entreranno nella piccola cella del dio locale, e invocheranno il suo aiuto per il raccolto o per intercedere affinché la moglie s’ingravidi: per un istante ne scorgo il rimasuglio d’ombra.
Come imbocco via Musei, il quadro svanisce.
Accelero il passo, devo essere puntuale. Sono una sorvegliante di sala: lavoro semplice per uno stile di vita appena dignitoso.
Un vantaggio: quando non ci sono mostre temporanee che attirano molti, troppi visitatori, posso lasciarmi cullare dalle mie immagini, e costruire storie che in seguito disfo, e favole simili a quelle che mi raccontava la nonna quando ero bambina, e anche quelle le dissolvo in una miriade di indefiniti finali.
Il problema, se tale si può definire, è che la permanenza in una qualunque sala del museo, mi suscita dei ricordi non miei, che suppongo legati ai manufatti ivi presenti.
Il museo offre circa 12.000 opere e reperti inerenti a 3000 anni di storia, perfettamente integrati nell’antico monastero benedettino femminile di San Salvatore e Santa Giulia.
Questa mia predisposizione, intendo dire la mia predisposizione alla suggestione ed al volo di fantasia, credo sia stata la scintilla di quell’enorme fuoco che ha preso a devastare la mia vita, e travolto ogni mio concetto riguardo al reale ed al suo contrario, fino all’epilogo che ora mi vede moribonda, a cercare significati nel caos.


[1] CAPITOLIUM: Santuario tardo repubblicano (prima metà del I secolo a.C.).

martedì 5 giugno 2018

Presentazione ad Iseo

Presentazione del romanzo "Rinascita al Museo Santa Giulia" di Taddei Emanuela
presso la Biblioteca di Iseo
con Vittorio Volpi (Responsabile Biblioteca)



ERMENGARDA: L’ULTIMA PRINCIPESSA LONGOBARDA


Sparsa le trecce morbide
sull’affannoso petto,
lenta le palme, e rorida
di morte il bianco aspetto,
giace la pia, col tremolo
sguardo cercando il ciel.
(A. Manzoni, “Adelchi”, atto IV)

Pirografia di Laura Stoppani

La figura di Ermengarda, la sposa ripudiata da Carlo Magno, sarebbe rimasta intrappolata per sempre nell’oblio, dimentica di lei la storia, condannata a una sorta di damnatio memoriae già dagli storici suoi contemporanei, concentrati i cronisti, evidentemente, sui grandi personaggi maschili protagonisti del dramma che avrebbe cambiato il volto dell'Italia, se Alessandro Manzoni, nella tragedia “Adelchi”, non le avesse conferito nuova dignità in virtù del suo dolore, facendola passare dalla stirpe degli oppressori alla schiera degli oppressi, tanto che, ancora oggi, la sventurata fanciulla sembra appartenere più alla poesia che alla storia. Fu Manzoni a riscoprirla, a “inventarle” un'anima, riproponendo la sua triste vicenda all'attenzione degli uomini, facendola, così, nascere a nuova vita: la vita della poesia. Vittima innocente delle feroci passioni degli uomini, agnello sacrificato sull'altare della necessità politica, grazie al poeta il suo nome divenne quasi il simbolo di un destino infelice e la sua patetica immagine entrò nella fantasia popolare, suscitando sempre un senso di triste compianto.