IL LIBRO. «Rinascita
al Museo Santa Giulia» di Emanuela Taddei Svenire e poi risorgere all’ombra del
monastero. Alessandra
Tonizzo BRESCIAOGGI 23 AGOSTO 2018
Cristina ha 19 anni. Sta assecondando «decine di fatti
irrilevanti» che la portano allo sciupìo di una vita «appena dignitosa».
Emanuela Taddei–scrittrice bresciana, classe 1966, infermiera con la passione
per lupi, pennini e cosmogonie– le fa incontrare Ermengarda, moglie di Carlo
Magno, et voilà: ecco «Rinascita al Museo Santa Giulia» (Compagnia della
Stampa). Proprio lì, tra le eteree sale dove Cristina lavora come custode
ascoltando «il silenzio ingombrante del vecchio monastero». UN LIBRO libero,
questo. L’autrice ha seguìto la propria missione alle lettere, coincidente con
l’appello anti-violenza che fa sgolare le donne da tempo immemore e che
avvicina la sua protagonista Cristina ad Ermengarda, per via del suo rapporto
con re Carlo. «Andavo al lavoro e ho sentito alla radio dell'ennesimo
femminicidio» ,ricorda Emanuela, ripensando a quando le è nata l’idea del
romanzo che sarà presentato al Museo questa sera alle20. Unire l’assalto della
forza interiore al lamento femminile ha prodotto 96 pagine recalcitranti. Una
scrittura bella, traslucida. C’è vita. Taddei la cavalca. Sorride poiché contro
«mani maschili e meschine», ne è sicura, può l’arte. VISITATO tutto il
complesso di via Musei vien voglia di tornarci, fuori dall’inchiostro.
«Rinascita» lega la vicenda della protagonista all’ episodio della triste sposa
ripudiata che Manzoni ,nell’Adelchi, indugia in lacrime. Qui non ha scorte né
d’amore né di sale, è combattiva, rivuole l’esistenza negata, slacciata dalla
Regola. Narcolessie, svenimenti per passare al ‘700 di principi e re. Memorie
longobarde inizialmente amate, evocate («Posso lasciarmi cullare dalle mie
immagini, e costruire storie che in seguito disfo, e favole simili a quelle che
raccontava la nonna quando ero bambina»), poi però temute poiché
riscontrabili,reali nella realtà di un passato remoto che ritorna. Quando
persino la Vittoria Alata si anima,
sussurra, e la giuntura di Chronos cigola, la pazzia fa
breccia. Benedett(in)a pazzia. Porta la giovane ad alzare gli occhi («La volta
è semplice e scarna. Come deve essere stata faticosa la vita sotto questo
soffitto…»), a rendersi conto di come la clausura non sia soltanto cosa da
novizie. E il dialogo tra le due,
Cristina ed Ermengarda– la pericolante viva, la disperante defunta–diventa
ponte sulle acque scure.•
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