sabato 22 settembre 2018

Bresciaoggi. Alessandra Tonizzo (agosto 2018)


IL LIBRO. «Rinascita al Museo Santa Giulia» di Emanuela Taddei Svenire e poi risorgere all’ombra del monastero.   Alessandra Tonizzo  BRESCIAOGGI 23 AGOSTO 2018
Cristina ha 19 anni. Sta assecondando «decine di fatti irrilevanti» che la portano allo sciupìo di una vita «appena dignitosa». Emanuela Taddei–scrittrice bresciana, classe 1966, infermiera con la passione per lupi, pennini e cosmogonie– le fa incontrare Ermengarda, moglie di Carlo Magno, et voilà: ecco «Rinascita al Museo Santa Giulia» (Compagnia della Stampa). Proprio lì, tra le eteree sale dove Cristina lavora come custode ascoltando «il silenzio ingombrante del vecchio monastero». UN LIBRO libero, questo. L’autrice ha seguìto la propria missione alle lettere, coincidente con l’appello anti-violenza che fa sgolare le donne da tempo immemore e che avvicina la sua protagonista Cristina ad Ermengarda, per via del suo rapporto con re Carlo. «Andavo al lavoro e ho sentito alla radio dell'ennesimo femminicidio» ,ricorda Emanuela, ripensando a quando le è nata l’idea del romanzo che sarà presentato al Museo questa sera alle20. Unire l’assalto della forza interiore al lamento femminile ha prodotto 96 pagine recalcitranti. Una scrittura bella, traslucida. C’è vita. Taddei la cavalca. Sorride poiché contro «mani maschili e meschine», ne è sicura, può l’arte. VISITATO tutto il complesso di via Musei vien voglia di tornarci, fuori dall’inchiostro. «Rinascita» lega la vicenda della protagonista all’ episodio della triste sposa ripudiata che Manzoni ,nell’Adelchi, indugia in lacrime. Qui non ha scorte né d’amore né di sale, è combattiva, rivuole l’esistenza negata, slacciata dalla Regola. Narcolessie, svenimenti per passare al ‘700 di principi e re. Memorie longobarde inizialmente amate, evocate («Posso lasciarmi cullare dalle mie immagini, e costruire storie che in seguito disfo, e favole simili a quelle che raccontava la nonna quando ero bambina»), poi però temute poiché riscontrabili,reali nella realtà di un passato remoto che ritorna. Quando persino la Vittoria Alata si anima,
sussurra, e la giuntura di Chronos cigola, la pazzia fa breccia. Benedett(in)a pazzia. Porta la giovane ad alzare gli occhi («La volta è semplice e scarna. Come deve essere stata faticosa la vita sotto questo soffitto…»), a rendersi conto di come la clausura non sia soltanto cosa da novizie.  E il dialogo tra le due, Cristina ed Ermengarda– la pericolante viva, la disperante defunta–diventa ponte sulle acque scure.•

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