Vi presento la sensuale Clorinda (da IL RITORNO DEGLI DEI di Emanuela Taddei e Alberto Re).
Con la sottoveste che fluiva impalpabile sulle membra lisce come porcellana, Clorinda passava e ripassava nel corridoio fra salotto e cucina, subissando di compiti e di spese per l’indomani la cameriera filippina, che stolidamente la seguiva accennando ogni tanto uno stanco “sissignora”. Teneva la testa avvolta in un asciugamano e la sua pelle odorava ancora di sali da bagno e di fragranze muschiate.
Mario era seduto in salotto alle prese con Fisica, ma quel pomeriggio la sua mente percorreva altri sentieri, che non contemplavano né la Fisica, né la scuola in generale. Si sentiva come l’Alex di Arancia Meccanica: gonfio di energia animalesca e coi sensi in fiamme.
E la matrigna che gli camminava intorno vestita a metà, era un ulteriore argomento di distrazione. Si accorse che per aspirare la fragrante femminilità della donna, annusava l’aria come un coyote che fiuta la preda.
Fino a quel momento non aveva badato a Clorinda, considerandola una specie di proprietà esclusiva del padre, che quando l’aveva sposata s’era preso un’amante da esibire, più che una compagna per la vita. Tutto questo a Mario non interessava, e probabilmente condivideva col padre l’identica insensibilità nei confronti dei sentimenti femminili (e non solo da quel mattino…)
Da sempre Clorinda sfruttava in ogni modo possibile la propria avvenenza, facendone un passe-partout per il gran numero di privilegi che rendevano piacevoli la sua vita… Quante porte le avevano spalancato quel sorriso accattivante e quel sedere da fotomodella! Il prezzo da pagare, di certo non sgradevole, erano le interminabili sedute dall’estetista e dal parrucchiere, alla continua ricerca di nuove strategie per acuire fascino e prestanza, e soprattutto per mantenerla nel tempo. Il protrarre la giovinezza in eterno era nel contempo sogno e dannazione; la bellezza la sua moneta di scambio in qualunque forma di baratto...
Mentre sorseggiava una spremuta di arancia, il figliastro la spiava di sottecchi, per nulla indifferente alle labbra che si poggiavano tumide sul bicchiere, lasciandovi una traccia rosa. Si avvide che anche la donna lo osservava ed i suoi occhi si fecero più audaci.
La matrigna si avvicinò un passo: Mario stasera pareva diverso, ancor più tenebroso e… attraente. Fare sesso con lui di certo sarebbe stato più entusiasmante che col padre, così prevedibile e monotono (e nullo senza la pastiglietta azzurra) ma scacciò rapidamente quel pensiero, pericoloso, troppo pericoloso...
Fingendo indifferenza senza riuscirvi, Mario si diresse in cucina per prendere una birra, mentre Clorinda addossata al frigorifero, si dava della stupida per quelle insensate fantasie.
Aveva già dimenticato, quando senza preambolo il ragazzo le si avvicinò dalle spalle, la prese e la scaraventò sul tavolo del salotto. La sua sorpresa durò soltanto qualche secondo e la mano con cui lo stava allontanando si arrestò a mezz’aria, e la bocca che stava imponendo al figliastro di smetterla si richiuse, soggiogata dal suo e dal proprio desiderio.
L’amplesso fu violento e passionale, indirizzato dalla forza bruta di Mario e guarnito dalle urla estatiche della donna, che anziché scacciarlo lo tratteneva a sé con le braccia, con le gambe: non aveva mai desiderato tanto nessun altro in vita sua.
Quando terminò, Mario la fissò negli occhi iniettati di sangue, poi si sollevò lasciandola ansimante sul tavolo e senza dire una parola si diresse in bagno. Esaurita la passione e il desiderio, quanto era avvenuto gli apparve in tutta la sua gravità. In un impeto d’ira sferrò un pugno alla porta, senza più degnare la matrigna d’un solo sguardo. Clorinda si alzò lentamente, abbassò la sottoveste e mentre udiva il figliastro tirare pugni contro qualcosa, avvertiva ancora dentro di sé il riflesso del piacere provato, sconvolta ed allo stesso tempo inebriata. Lo voleva ancora, ad ogni costo, anche al prezzo di scalzare suo marito dal letto per fargli posto.
Delirava e nei suoi occhi brillava una luce di colore verde.
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